Fare amicizia con il nostro critico interno

 


Tutti abbiamo un critico interiore, è quella parte di noi che continua a commentare, criticare e/o condannare ciò che facciamo. Evidenzia sempre l'aspetto negativo del nostro agire o del nostro essere, ci ricorda ciò che ancora non abbiamo fatto o come avremmo potuto fare meglio. Quando lo ascoltiamo troppo rischiamo di non essere mai contenti di noi.

La sua severità, pervasività e ostilità è però molto diversa da persona a persona e condizionata dalle nostre vicende di attaccamento e al contesto sociale in cui cresciamo e viviamo. (gli ambienti competitivi tendono ad alimentare questa parte)

La voce critica ci fa sentire che qualcosa in noi non va e da ciò nasce l'emozione della  vergogna (del nostro corpo, del nostro carattere, della nostra vita, delle nostre azioni etc …). 

Può anche essere considerata il lato oscuro della autocompassione perché può emergere  quando ci impegniamo a coltivare la compassione per noi stessi nel dirci che non ci meritiamo la gentilezza, il calore, il rispetto o magari il riposo, il fare meno. 

L’autocritica può emergere quando iniziamo ad occuparci davvero di noi. 

Ma la prospettiva che propongo  è che gli ostacoli fanno parte del sentiero, come il fango serve per nutrire le radici del fiore di loto. Così anche dalla autocritica e dalla vergogna  può emergere una grande quantità di energia che possiamo mettere al servizio del cambiamento. Se troviamo il modo per lavorare con autocritica e vergogna potremmo approfondire la comprensione della nostra capacità di compassione, per noi stessi e per gli altri, migliorando notevolmente la qualità della nostra vita.

Come la distrazione è l’opposto della consapevolezza e della presenza mentale, allo stesso modo due degli ostacoli maggiori nel coltivare l’autocompassione che ci fanno sentire sicuri e connessi,   sono proprio  l’autocritica e la vergogna.

Spesso infatti questi elementi si affacciano nella nostra pratica e nella nostra vita e potrebbe essere importante imparare metodi abili per fronteggiarli e lavorare con loro, piuttosto che farci la lotta, così che porti meno caos nelle nostre vite.

Ma abbiamo davvero voglia di liberarci dall’autocritica, o pensiamo di averne bisogno?

Curiosamente l’autocritica anche se è difficile conviverci viene spesso considerata una risorsa, in alcuni casi temiamo che perderla significhi diventare indesiderabili, arroganti, sgradevoli, pigri, abbassare il nostro standard, o essere non adeguati. Spesso sentiamo paura all’idea di lasciar andare l’autocritica. In poche parole l’autocritica viene spesso considerata qualcosa che ci rende migliori. Viene considerata una potente forza auto-motivante. Ma è davvero così? L’autocritica ci rende migliori?

La tendenza verso l’autocritica porta ad un problema importante per il nostro benessere.

Essa è associata ad emozioni di delusione, senso di colpa, rabbia e frustrazione, emozioni che partono dalla minaccia e che ci spingono a entrare in una risposta di protezione (attacco fuga spegnimento). Le persone troppo autocritiche stimolano continuamente il sistema di minaccia e la loro neurocezione segnala un ambiente poco sicuro.

Quando siamo in questi stati reattivi in genere non abbiamo accesso alle aree più evolute della nostra corteccia e la nostra mente funziona in maniera più chiusa e limitata, rigida. Non riusciamo ad accedere alle risorse che ci permettono di sentirci connessi e sicuri, con un peggioramento della nostra relazione con noi stessi e con gli altri.

In particolare l’autocritica ci blocca la possibilità di essere compassionevoli con noi stessi, si mette in mezzo ricordandoci perché non ce lo meritiamo.

Il valore di migliorarsi è molto valido per le persone, il punto è qual’è il metodo più efficace  per farlo. Molte persone  scoprono in psicoterapia di aver inizialmente intrapreso il percorso con una motivazione competitiva alimentata dall'autocritica e dalla vergogna per ciò che sentono di essere,  per arrivare a criticarsi ferocemente se i miglioramenti non sono in linea con le aspettative.   Ovviamente il passaggio ad accedere ad una diversa motivazione è proprio l'elemento che permette loro di avanzare verso il cambiamento reale. Quindi questo aspetto della motivazione al cambiamento è fondamentale.

Lavorare con l’autocritica e la vergogna significa cambiare la mentalità la sociale sottostante e sostituire la motivazione competitiva con quella compassionevole.

Passare cioè dall’autocritica distruttiva (quella che genere vergogna e colpa ed è focalizzata sui risultati  e gli obiettivi) alla capacità di correggersi in maniera compassionevole(che genera accettazione e sostegno per le nostre difficoltà e sofferenze)

Come fare? Se iniziamo a combattere l’autocritica è come gettare benzina sul fuoco, rimaniamo comunque intrappolati nel sistema di minaccia. 

Ciò che serve è spostarsi entro un’altra dimensione che è quella della compassione, stimolare in noi le sensazioni compassionevoli e poi cercare di avvicinarci all’autocritica da questa prospettiva.

In questo processo il lavoro con il corpo è fondamentale per preparare il terreno. Il lavoro con il corpo inteso come respirazione, radicamento e rilassamento è fondamentale nel percorso per coltivare questo stato e quindi il Restorative Yoga può essere una valida pratica per questo scopo. Nel passare alla mente compassionevole si vuole infatti attivare una psicofisiologia di una base sicura (safeness), chiamati anche i “circuiti della compassione”.

Le lezioni  di Mindfulness e Restorative Yoga  proposti nel mio studio on line nel mese di maggio preparano il terreno per questo. Avvicinarci alla nostra voce critica da una prospettiva di compassione permette di trasformare l’autocritica distruttiva in correzione compassionevole.

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